Quando ancora non avevo alzato gli occhi al cielo, ma tante albe mi sembravano diventare sempre più diverse...
IL GRANDE INGANNO
• Le origini della tremenda verità
L'ultima estate era risultata la più arida e torrida degli ultimi duecento anni. Così dicevano le statistiche, sebbene nessun essere vivente potesse più ricordare a memoria quanto fosse più mite quella stagione in tempi ormai lontani. L'autunno era stato segnato da uragani e burrasche, da nubifragi e trombe d'aria mai viste alle nostre latitudini: cicloni e tempeste che avevano devastato litorali, terre agricole e semine, strade, ponti e bassi insediamenti. V’erano stati naufragi, frane, crolli e lutti dovuti a smisurate inondazioni.
L'inverno, calato da nord quasi senza preavviso, aveva assiderato le pianure ancora umide, spazzandole con raffiche d'origine polare. Il gelo aveva martoriato terre e genti già stremate dalle angherie delle stagioni precedenti, imponendo ogni incremento degli impianti per il riscaldamento.
Di volta in volta, erano entrati in crisi: porti, aeroporti, centrali elettriche e quindi, fabbriche, trasporti, grandi magazzini e ospedali. La gente era preoccupata, usciva sempre meno e si aggrappava ai notiziari, ma il dubbio iniziava a serpeggiare. Il fenomeno, agghiacciante e planetario, ormai lo si percepiva: spaventoso e fin troppo evidente.
Col cuore e la speranza appiccicati al video, la razza umana ascoltava previsioni e dibattiti che si davano battaglia su tutti i canali in cerca della massima audience, facendo soldi a palate con la pubblicità. Poi, erano successe certe cose e la popolazione aveva capito.
La storia di queste stravaganze climatiche era iniziata attorno alla metà del secolo scorso, un secolo irrequieto, caratterizzato da una crescita industriale che aveva modificato antiche usanze e stili di vita. In quel periodo, sopra le città più sviluppate era comparsa una nuvola rossastra alla quale fu affibbiato il neologismo di smog, un elemento che destò qualche apprensione.
A quel tempo, le genti si rammentavano ancora di quanto fosse limpido il cielo quando la nube non esisteva ancora. Lo smog era un pulviscolo provocato dalla combustione di prodotti distillati dal petrolio e dal carbone. Era il residuo dell'industria, la nuova attività che aveva rimpiazzato l'artigianato, rendendo abbordabili per tutti gli abitanti, le inebrianti conquiste dello sviluppo tecnologico.
Le nuove generazioni dunque, nacquero già sotto la coltre di smog, ritenendolo un fatto normale, mentre la memoria dell’aria limpida si disperdeva man mano il tempo reclamava a sé gli esseri umani più vecchi e depositari di quei ricordi.
Lo sviluppo tecnologico, aveva segnato l'evoluzione dell'uomo per tutta la parte del secolo scorso e durante i primi decenni della nuova epoca, espandendo l'economia di mercato in ogni angolo del pianeta. L'economia globale era basata sul concetto d'accrescimento economico esponenziale. L’incubo era rappresentato della recessione e dalla crisi dei sistemi speculativi alterati da artificiosi movimenti di capitale.
Accadde anche quello, dando luogo ad alternanze geografiche, sia nella produzione, sia nei consumi, ma senza apportare alcun risanamento agli effetti biologici, biochimici e fisici dell'industrializzazione, sulla pelle del pianeta.
La corsa allo sviluppo aveva ignorato le alterazioni che andavano a modificare l’equilibrio delle basilari regole alle quali è soggetta la vita sul nostro pianeta.
Le nuove generazioni, nate e cresciute sotto la tettoia dello smog, impegnate nell'economia di mercato, non possedevano più la memoria per intuire il repentino tracollo che aleggiava nell'aria, non erano preparate a reagire quando ancora vi erano speranze.
Fu così che nacque il grande inganno.
Anche la riverenza mistica nei confronti dell'Onnipotente era stata rimpiazzata dalla fede nella tecnologia, poiché l'uomo si stava avvicinando ad obiettivi stupefacenti, in apparenza sempre più prossimi ai misteri della genesi che, da sempre, hanno tormentato l’inquieto animo umano.
Fu un'illusione che favorì l'evolversi della tremenda verità.
Nel frattempo, dopo i tempi dello smog, l'inquinamento era stato accettato come un prezzo quasi onesto da pagare in cambio dei vantaggi che rendevano la vita più agiata e oziosa, ma forse, per mancanza di stimoli: ottusa, annoiata, conflittuale e stressata.
Per frenare l'inquinamento, nei primi tempi furono varate blande soluzioni regionali e, in seguito, di fronte al dilagare del problema, gli interessi dei singoli Stati non consentirono ai governi di trovare soluzioni comuni.
Purtroppo, le scelte dettate dal mercato fissarono contromisure del tutto inefficaci. Minuscole pillole curative quasi ignorate dalla critica e dai mezzi d'informazione. Un'informazione sempre meno indipendente, piatta, banale, uguale a se stessa, assai superficiale, pilotata dal Sistema di Controllo Globale & Centrale.
La fame d'energia, nel frattempo era diventata ingovernabile. Gli impianti di condizionamento, l'elettrificazione sfrenata, gli sprechi e l'inarrestabile espandersi della motorizzazione furono fenomeni che innescarono, dapprima una copertura quasi totale del globo terracqueo da parte di sottile polluzione e poi, un irreversibile effetto serra, già evidente molto prima della tremenda verità, quando si sarebbero potute tentare alcune conversioni che avrebbero evitato il grande inganno e questo nostro pazzesco viaggio.
Se ne parlò molto, ma si fece poco. La questione diede luogo a dibattiti tra scienziati che palleggiavano le responsabilità delle variazioni climatiche tra cause umane e fenomeni naturali. La popolazione seguiva gli sviluppi delle conferenze con attenzione, erano in molti a condividere le ipotesi più logiche, ma tranne qualche gruppo isolato, pochi si dichiararono disposti a rinunciare alla seducente tipologia della nostra civiltà.
A quel tempo, dopo i due gravi incidenti delle centrali nucleari di quarta generazione, si svilupparono diffuse proposte per ricorrere a fonti energetiche non inquinanti. Soluzioni ingegnose che però, andavano a danneggiare smisurati interessi delle multinazionali.
Le concentrazioni del potere erano ancorate a inerzie produttive legate allo sfruttamento dei giacimenti fossili: un volano inarrestabile d'attività difficili e dispendiose da riconvertire.
Alcuni notiziari tecnologici iniziarono a contrastare e prevedere. Entro pochi decenni si sarebbero sciolti i ghiacci, gli oceani avrebbero sommerso arcipelaghi e fasce costiere, le riserve d'acqua sarebbero state sempre più preziose, l'aumento della temperatura avrebbe favorito l'evaporazione dei mari, dando origine a tempeste e devastanti inondazioni.
Sfruttando la risonanza dell’argomento, le case di produzione si arricchirono con catastrofici, terrificanti film, sempre rassicuranti nell'immancabile lieto fine.
Nel frattempo pareva proprio che la causa del disastro fosse da attribuirsi al comportamento del genere umano, ma di terra emersa ne sarebbe rimasta comunque abbastanza. I telespettatori seguivano con attenzione le trasmissioni culturali: faceva tendenza mostrarsi informati ed eruditi in materia, dire ciò che si sapeva; mentre erano in pochi a sapere quel che si doveva dire.
Tra tanta dialettica dunque, nessun governo prese l'iniziativa per ridurre quello che, un tempo semplice smog, s’era trasformato in un'inarrestabile nube che aveva sovvertito i naturali avvicendamenti climatici. Ritmi scanditi da magiche alternanze che, da migliaia di anni, avevano garantito lo svolgersi della magia della vita sul nostro unico pianeta.
Tuttavia, il problema più sciagurato era un altro: illimitato.
La disastrosa realtà, la tremenda verità, era stata scoperta da eminenti studiosi e rivelata ai più autorevoli presidenti, ma era stata accuratamente taciuta ai dieci miliardi di abitanti.
I cittadini dormivano sonni quasi tranquilli: inebetiti da guerre regionali, rabboniti da disinformazioni e distratti da inebrianti miti edonisti, vivevano sedotti da gingilli elettronici, assorbiti da programmi ipnotici, appollaiati su veicoli sempre più veloci e circondati da un benessere sapientemente costruito da ingannevoli, inutili invenzioni.
La verità era tremenda. A qualche onesto scienziato, talvolta saltava il ghiribizzo di svelarla al mondo, ma dopo strani e funesti incidenti, chi sapeva non fiatava più. Nulla era ignoto agli occhi e alle orecchie dei software d'informazione personalizzati. Con la scusa dei sistemi di sicurezza AT.2, gli abitanti erano stati tutti monitorati e chi sapeva di trasgredire, poteva essere individuato dalla sudorazione, dal pulsare della pupilla, dal ritmo della respirazione.
La tremenda verità sarebbe dovuta rimanere orribile menzogna. Altro non si poteva fare. Chiunque avesse tentato di renderla nota sarebbe stato subito eliminato dai Servizi Occulti del Potere Centrale. Renderla nota avrebbe scaraventato la popolazione nel panico, nell'anarchia totale, innescando un'inarrestabile rivoluzione globale.
• Occhi puntati verso lo spazio infinito
L'atmosfera, già forata da antichi esperimenti nucleari, stava svanendo, volava via. Il pianeta si sarebbe inaridito, rinsecchito come un fungo al sole. Era inevitabile, sarebbe accaduto prima d’ogni fantasia.
L'anidride carbonica emessa in quantità smisurate dalle combustioni, combinata con i nuovi gas Eton e Aures adottati per riscaldamenti e condizionatori, si stava nutrendo d'ossigeno e azoto, alterando i millimetrici equilibri tra il peso molecolare dell'atmosfera e la forza di gravità del mondo.
Le foreste che, fino a tre secoli prima, si stendevano sopra gran parte delle terre emerse e rendevano il pianeta un vero Paradiso, erano state rase al suolo per essere tramutate in legnami pregiati e carta per moduli burocratici, per acquisire nuove terre da pascolo e culture destinate a sfamare la popolazione, per fare spazio alle megalopoli e alle loro sterminate discariche.
Quelle poche oasi di verde rimaste e mal tutelate, in un mondo ormai privo d'ogni rispetto per le regole della natura, erano diventate sollazzo di piromani: annoiati esseri in cerca di stupide emozioni, ma anche di terroristi ecologici e di insaziabili speculatori immobiliari.
Il processo di desertificazione delle latitudini tropicali, non era stato contrastato finché si era limitato a castigare le popolazioni meno autorevoli del pianeta. Quando s’era spostato verso latitudini più industrializzate, anziché provvedere a un massiccio ripopolamento silvestre su scala globale, si era preferito un aumento di soluzioni tecnologiche, attingendo massicce quantità d'acqua dal mare, trattandola con immensi impianti di depurazione.
All'inquinamento artificiale s'era sommato quello naturale. La popolazione, aumentata a dismisura, aveva fame. Gli allevamenti di animali da macello erano diventati immense distese di carne da hamburger. Grandi bestie che respiravano molto. Respirare tramuta l'ossigeno in anidride carbonica. Solo i vegetali riconvertono il fenomeno, ma di grandi foreste non ve n'erano più e le praterie di alghe marine erano state sterminate da un misterioso batterio. Pare fosse il prodotto di un esperimento d'arma chimica ormai inutile, fuoriuscito da bidoni abbandonati in fondo al mare dell'est.
L'ossigeno scompariva rapidamente e non veniva rimpiazzato, ma non era l'unica causa del disastro imminente. I nuovi jet supersonici che dimezzavano i tempi, volavano sempre più in alto, aprendo squarci negli strati più elevati dell'atmosfera. Come ferite di un corpo malato, tardavano a richiudersi, lasciando sfuggire l'aria verso l'infinito, ma per questioni di concorrenza nessuna compagnia si dimostrò disposta a far volare gli aeromobili più piano e più in basso; non sarebbe stata una scelta redditizia.
Per tutta questa serie di tragici errori, l'aria si era rapidamente diradata. Quando il fenomeno era stato accertato con colpevole ritardo, le nazioni scientificamente avanzate avevano tentato di salvaguardare l'atmosfera residua creando una calotta artificiale e trasparente, formata da miscele di: PMMA, BA2, PCmm3. Leggerissimi intrecci di polimeri sintetici d’origine biologica che, stesi al di sopra delle rotte commerciali come un sottile e cristallino film protettivo, avrebbero dovuto arginare il disastro.
La popolazione aveva iniziato a interrogarsi sul rilascio di larghe tracce di pulviscolo da parte di aerei cisterna; qualche biologo si era allarmato, ma come sempre, l'informazione aveva depistato ogni ipotesi catastrofica, fornendo rassicuranti dati che spiegavano ambigui cimenti destinati alle telecomunicazioni.
In realtà, le particelle rilasciate nell'atmosfera avevano contribuito a consolidare l'effetto serra senza eliminare l'impoverimento dell’aria.
Anziché iniziare un salubre rimboschimento universale e un immediato procedimento di regresso, si era preferito cercare la soluzione adoperando i medesimi metodi che erano stati all'origine del problema. Il sistema mondiale, mosso da poche organizzazioni senza più volto, non era programmato per uno sviluppo indirizzato all'indietro.
La scelta progressiva era stata quella di tacere su tutto. L'inganno era nato un po' per volta, ma era diventato gigantesco quasi di colpo. Il pianeta era condannato a inaridirsi e gli oceani a evaporare verso il nulla, verso il gelido universo. Era l'apocalisse più volte annunciata da antiche scritture, oracoli, maestri, profeti e veggenti. L'apocalisse; anticipazione celeste, un tempo temuta e rispettata, quindi derisa, ignorata, dimenticata in vecchie pagine premonitrici.
Era la fine d'ogni forma di vita sul pianeta. Fine ormai inconfutabile e attesa nell'arco di poco tempo tiranno.
Fu per tutto ciò che si diede inizio al Progetto Spaziale Unificato, il capolavoro del grande inganno: un piano ambizioso accolto con curiosità e orgoglio dagli abitanti del pianeta, quelli che credevano ciecamente nel cammino della scienza e della tecnologia.
In effetti, si trattava di missioni sempre più ardite, con il compito di sondare la possibilità di colonizzare i pianeti più vicini. Spedizioni di satelliti intelligenti che atterravano su altri corpi celesti trasmettendo le caratteristiche dei suoli, tacendone il reale, pressante motivo principale: tentare di salvaguardare almeno l'esistenza della razza umana.
Il grande inganno non era impraticabile, ma occorreva fare in fretta.
Secondo dati raccolti dall'Onnisciente Computer Dominante, tre pianeti prossimi al nostro globo ormai condannato e abbastanza vicini al Sole, avrebbero potuto accogliere con alterne possibilità di successo una modesta colonia di soggetti prescelti per la fuga verso l'inevitabile, disonorevole grande inganno.
Io sono uno di loro, sono un fortunato essere umano consapevole di tutto quanto finora ho raccontato. Sono stato accuratamente selezionato per partecipare alla più grande impresa della storia, ma me ne vergogno e non me ne compiaccio.
• Le torri lucenti
La nostra grande astronave, Migrator 2 è decollata appena in tempo per sfuggire alle rappresaglie delle popolazioni furibonde. Masse disperate che volevano partire con noi oppure abbatterci. Moltitudini accorse verso la base spaziale, a malapena contenute dal fuoco incrociato di mille fedelissimi militari.
La sinistra notizia, la tremenda verità aveva iniziato a serpeggiare dal momento in cui s'era staccata dal suolo Migrator 1, partita solo venti giorni or sono: un'eternità cosparsa di desolato nulla per chi comprende e rimane. Si trattava di una cosmonave imponente e troppo popolata per mascherare il gigantesco imbroglio; una metallica torre lucente.
La gente aveva capito tutto in quel preciso momento.
N'era stata prevista una terza, ora so che non è mai decollata, ma data alle fiamme dalla folla furente con dentro altre sfortunate avanguardie sacrificate per niente.
Migrator 1 era partita in direzione di Venere, col suo carico di 176 taciturni esseri umani d'ambo i sessi, d'ogni razza e colore. Uomini e donne addestrati e informati di tutto, ma intrisi di tristezza, disonore, nonché legittimato timore. Pionieri sorretti dalla coscienza dell'importanza della missione e immensa speranza.
Il medesimo tipo di equipaggio e i precisi sentimenti che gremiscono anche questa seconda arca spaziale, all'interno della quale noi, 182 sconosciuti prescelti, ci si osserva, consapevoli delle mostruose colpe dell'arroganza del genere umano.
Dal momento in cui siamo partiti, scrutiamo sfuggenti i nostri pochi, fortunati volti, ugualmente coscienti dell'immensa importanza della nostra avventurosa, quanto incerta missione. Manipolo di piccoli mortali impauriti e proiettati verso l'ignoto, con più nulla da perdere e tutto da guadagnare, saettanti nello spazio, verso la nostra meta.
I venti giorni che avevano separato il decollo delle due astronavi gemelle erano stati sufficienti per far circolare la tremenda verità in ogni angolo del pianeta ormai morente. Pianeta sfinito, ma servito via esternet da ogni tipo d'informazione in tempo reale.
Una volta vista schizzare verso il cosmo dall'immensa rampa la prima, grande astronave, più d'uno studioso al corrente della tremenda verità aveva compreso che le scelte erano state fatte e spontaneamente, senza più timore d'anticipare una morte ormai imminente, aveva scelto di vuotare il sacco.
Chi sapeva, aveva confessato al mondo che, nell'emisfero nord del nostro magnifico pianeta, dopo una primavera dapprima quasi normale, ma poi sempre più calda, sarebbe sopraggiunta un’estate ancora più rovente. Stranamente, nelle notti, man mano si sarebbe tornati a vedere il cielo sempre più stellato, come lo si vedeva un tempo ormai lontano, quando l'atmosfera era immacolata e pura, quasi trasparente.
Sarebbe stato l’indizio del brusco assottigliarsi dell'atmosfera. Nessuno aveva azzardato tempi precisi, ma di certo, l'autunno e l'inverno sarebbero stati assai più gelidi di quelli precedenti, meno protetti dal glaciale infinito. Sarebbe stata dura, ammesso che si fosse arrivati ancora vivi sino a quel tormento. La morte sarebbe stata lenta, ma non troppo, e soprattutto: quasi in simultanea su tutto il pianeta. Una morte totale e boccheggiante.
L'ultima aria, sempre più evanescente avrebbe iniziato a perdersi nell'immensità con un ultimo turbine, un vento fortissimo, aspirato e disperso nel cielo stellato.
Un estremo, immenso, planetario sospiro: poi, il nero e il niente.
La notizia aveva sconvolto il mondo, ma tacere il grande inganno era diventata un’impresa impossibile. A pochi era sfuggito che, l'ultima estate, era stata la più secca e torrida degli ultimi anni e l'autunno, deformato da burrascosi nubifragi, era stato spazzato da violenti temporali e trombe d'aria mai viste alle nostre latitudini. Tempeste che avevano devastato città, terre agricole e coste, strade, ponti e bassi insediamenti, provocando naufragi, frane, crolli e moltissimi lutti. L'inverno poi, calato da nord quasi senza preavviso, ghiacciando le pianure ancora umide e spazzandole con venti gelidi d'origine polare, aveva alimentato teorie e sinistri sospetti anche nelle più semplici menti.
In molti avevano iniziato a capire, interrogandosi su quel cielo stranamente sempre più pulito e su quelle ambigue, affollate spedizioni siderali.
In troppi avevano compreso, mentre il tempo imponeva di decidere e partire.
• Nel ventre della speranza: verso la meta.
Stiamo navigando da tre mesi, astronauti racchiusi in questo guscio disperso nell'infinito. La meta si avvicina, trepidiamo, preghiamo un vecchio Dio, abbiamo paura di morire e sebbene sia una speranza perlomeno vana, abbiamo fame di farcela: umana ingordigia di sopravvivere.
Fino a pochi decenni addietro ci s'interrogava sul fatto se vi fossero state altre forme di vita intelligente nelle galassie più vicine. Oggi sappiamo d'essere sopravvissuti noi soli, gli ultimi rappresentanti della razza umana. Indietro non v'è luogo per un ritorno.
Siamo rimasti in contatto radio con Migrator 1 fino al momento del suo impatto con la densa atmosfera di Venere. Dapprima sembrava che tutto si dovesse sviluppare secondo i ripetuti calcoli degli elaboratori, ma poi, allarmanti segnali di surriscaldamento, quindi un rumore quasi molle e dopo: solo silenzio.
La triste fine della nave gemella era quasi certa, incerte le cause, e troppe potevano essere. Sapevamo che era previsto un margine d'errore stimato 0,2513 ∑π relativo alle incomplete informazioni sulle caratteristiche di quel pianeta, ma il doloroso, verosimile insuccesso dei nostri compagni non fa certo bene al morale. Siamo rimasti soli, è un'immensa responsabilità. Ci si affanna in mille controlli.
La base segreta, sepolta trenta metri sotto la superficie del nostro amato e sventurato corpo celeste, nonostante tutto funziona e ci trasmette continuamente informazioni e dati.
Javè, l'infallibile Elaboratore Onnisciente Onnicomprensivo, ci sta pilotando in automatico sul nostro obiettivo. Siamo rimasti nelle sue sole mani virtuali, le uniche a funzionare ancora; razionali, imperturbabili onde in radiofrequenza, eppure anch'esse contraddistinte da strane inflessioni. Forse è suggestione, paiono quasi mortificate. Ci viene da pensare che, probabilmente, a modo loro, parto di consapevoli calcoli matematici effettuati da macchine ormai quasi umane, per analogia, sono coscienti e quindi amareggiate per il mesto epilogo degli umani e del pianeta in tutto il suo complesso.
Come si temeva, il dilagare della tremenda verità, aveva liberato gli istinti più ancestrali delle moltitudini: miliardi di peresone tradite, infuriate, terrorizzate ed incredule. Travolti dall'immensa tragedia, anche i militari dell’area segreta, dopo pochi giorni avevano disertato. La base era disabitata, solo le macchine vivevano ancora.
Via videotelebyte 109 Hz, sul monitor a ultrasuoni elastici avevamo captato terribili immagini e raccapriccianti informazioni da parte d'impassibili volti professionali. Volti di giovani giornalisti rampanti che, nella loro ultima e più prestigiosa diretta, riferivano di ribellioni, guerre e stermini, superandosi in loquacità e agilità dialettica.
Si trattava di conflitti spontanei esplosi senza motivo apparente e senza quartiere, oppure suicidi di massa pregando un nuovo Dio. Visto dall'interno della nostra nave, sembrava un massacro cercato e voluto, quasi come se, uccidersi prima di assistere alla fine del globo terracqueo, fosse una liberazione, un espiare i peccati di ambizione e tracotanza inflitti al pianeta e alla sua stupenda natura in cambio d'una fugace, ingannevole illusione d'invincibile sapienza. Il clima aveva fatto il resto.
Saltato ogni schema della razionale struttura che sfamava, illuminava, dissetava, riscaldava o rinfrescava ogni spicchio del pianeta, in poche settimane, secondo le latitudini, l'umanità era spirata per il gelo o asfissiata dal calore. Altrove era morta per fame e sete, lottando a morsi e mani nude per un ultimo, raffermo tozzo di pane. La tragedia s’era consumata ancor prima che svanisse l'ultima molecola della nostra cara, vecchia atmosfera. Assistere impotenti a quello spettacolo era stato terribile, ma era servito per decuplicare il senso di responsabilità e la concentrazione nei confronti della missione.
In questi mesi di navigazione abbiamo imparato a conoscerci e stimarci per le nostre tante qualità e per il silenzioso, umile coraggio. Proveniamo dai sette continenti, siamo tutti giovani, sani, istruiti, pacati e intelligenti. Di tutto il passato lasciato alle nostre spalle abbiamo parlato poco, volutamente. Non abbiamo sviscerato né gioie né dolori, né altri sentimenti, ma molto e d'altro abbiamo discusso e altrettanto programmato.
Durante il viaggio abbiamo analizzato tutti gli errori commessi dalla nostra razza, partendo da lontano, da che la storia ci consentiva di risalire; errori d'egoismo e di sopraffazione verso ogni altra forma di vita e verso la nostra etnia stessa. Errori ripetitivi, costellati di sofferenze, guerre e distruzioni. Violenze spesso compiute nel nome di storpiate, divine volontà o al grido di masse illuse da artificiosi governanti, portate ad immolarsi da disegni diabolici, promettendo loro false e nuove libertà.
Mentre aumentava la distanza dalla nostra terra ormai spenta, abbiamo ripercorso la lunga, e per certi aspetti, esaltante storia delle invenzioni. Serie di conquiste dapprima modeste, seppur geniali, poco contrastanti con il mondo naturale. Quindi, le scoperte di una scienza e una ricerca sempre più invadente, sino a sopraffare la perfezione equilibrata della natura stessa. Sino alla tremenda verità, il grande imbroglio e l’orrenda fine di tutto.
Tristemente informati sulle ultime vicende della nostra ormai perduta civiltà, abbiamo individuato il male, nel nome del quale, troppi errori hanno scandito la prolificazione di disastri sempre simili a se stessi. Il male è un'energia vagante che assume il volto del potere e di fatue ricchezze. Si manifesta con l’accumulo di futili, inutili oggetti di culto, fugaci proprietà di terre e monili, di volatili tesori o materiali rari. Si palesa con la prevaricazione dei simili, con lo scettro del comando costruito su ingannevoli leggi ed arroganze intellettuali che discriminano singoli e popoli.
Le abbiamo classificate come distorsioni all’appartenenza d’un esistere unico e globale, durante il quale, l'amare il prossimo come se stessi è la più semplice, logica teoria del vivere. Potere e ricchezze: imbrogli intellettivi eppure, letali armi sociali, bisogni manipolati, motivi scatenanti di lotte e soprusi. Stimolanti d’impulsi negativi che giacciono nella crudeltà latente dell'uomo.
Nel corso di queste sedute di riflessione collettiva regolate da Javè, abbiamo stabilito che un essere buono è naturalmente generoso e intelligente, quello cattivo, oltre che avido è anche stupido. Le doti morali non possono essere separate da quelle intellettuali e sono queste ultime la vera, impagabile ricchezza del genere umano. La bontà è genialità e lungimiranza, l'appartenenza, la fratellanza, la solidarietà sono la via da perseguire, insegnare e coltivare.
Soli nell'universo, abbiamo analizzato le follie della nostra razza ingorda e violenta, pregando un vecchio, generoso e comprensivo Dio di guidarci nell'ultima e più pericolosa tappa di questo viaggio, e di farci giungere vivi al suolo, sperando di poter trovare un modo per sopravvivere su questa nuova terra ormai vicina, implorandolo di concederci l'opportunità di poter riabilitare la nostra oltraggiosa razza.
Nel tempo del progressivo avvicinamento alla meta abbiamo sviscerato ogni nostra colpa, chiedendo perdono a tutte le stelle del cielo, giurando di non commettere mai più gli stessi errori, promettendo solennemente di onorare sempre l'Onnipotente e vivere pacificamente, con rispetto e riverenza, secondo i ritmi che ci saranno richiesti dalla pur aspra natura che in basso ci aspetta.
• Il mondo nuovo e un'altra, nuova verità
Ora non è più il momento né di riflettere né di recriminare. Durante il volo sembrava d'essere immobili e sperduti nell'immenso, ma ora, scorgendolo dall'oblò, il globo prescelto per l'atterraggio si sta facendo sempre più vicino e la nostra velocità appare quel che è: terrificante. Siamo pronti.
Tutto si sviluppa così rapidamente che quasi non v'è tempo per pensare. L'enorme astronave trema quando si accendono tutti assieme i dieci poderosi retrorazzi ed io, sdraiato come gli altri sulla mia cuccetta pneumatica sento la frenata che mi schiaccia.
Nel fulmineo istante in cui l'astronave doma la sua folle corsa percepisco un aumento di calore, poi un rumore molle, poi più niente.
Non so se ho perso i sensi o sono morto oppure no. Riapro gli occhi, tutto attorno è silenzio, poi, altri astronauti si muovono, siamo vivi! Ci raduniamo nella sala di controllo, gli strumenti segnalano che tutto si è svolto secondo il programma. Gli sguardi si cercano, emozionati, esultanti, ma timorosi e titubanti. Esitiamo su chi dovrà prendere la decisione di scendere per primo. Indugiamo su queste ed altre cose, poiché ci riteniamo tutti uguali ed è stato abolito ogni tipo di gerarchia e di comando.
Per noi decide il sapiente Javè, che si collega all'improvviso, preceduto da uno spiritoso e bene augurante "andate e moltiplicatevi", quindi si rallegra con tutto l'equipaggio, assumendo un tono orgoglioso per non aver sbagliato i calcoli e aver permesso all'epica impresa d’arrivare a destinazione sana e salva. Poi, rende noti i nomi dei nostri accoppiamenti, rendendo donne e uomini più rilassati e sorridenti in quanto, i matrimoni virtuali sembrano tutti azzeccati, saggiamente selezionati per non creare errori o malintesi.
A sentire la sua voce così distante, eppure presente; voce artificiale, ma non troppo, il super computer dà idea d’essere veramente contento. Possiede una riserva d'energia di 10.000 M.tep e non gli occorre ossigeno. Solo, di lassù, continuerà a seguirci, forse in eterno, ma niente di più. Javè controlla, verifica e poi comunica d'aver esaurito ogni sua mansione per la quale era stato programmato.
Quando prende commiato augurandoci ogni bene, ne sorrido, pensando che forse neppure lui era certo della buona riuscita della missione. Nel medesimo tempo, sento che, tra tutti i presenti, come ultimo incarico, scegliendo lui per noi su chi dovesse uscire adesso dalla nave e andare a spasso ad esplorare la superficie di codesta nuova terra, scandisce il mio nome.
Tocca dunque a me essere il primo. Eseguo con rispetto.
Mentre m'inserisco nella tuta e indosso il casco, assieme agli altri della spedizione intono una preghiera per ringraziare un vecchio Dio buono e chiedergli ancora un po' di pazienza, di amorevole benevolenza.
Si apre l'ultimo portello, sono fuori, mi muovo, cammino. Il sole è ancora alto rispetto all'orizzonte, credo d’avere il tempo per capire, per sondare e quindi riferire.
Tutto attorno è una pianura frastagliata, brulla e gialla, ma se spingo lo sguardo più lontano vedo picchi e montagne di un altro colore. Sembrano dirupi coperti da arbusti e piante. Dunque, avevano ragione quegli eminenti scienziati che sostenevano esserci vita su questo pianeta. Gli strumenti segnalano che, pur essendo la visuale trasparente, vi è una sufficiente quantità d’ossigeno in codesta atmosfera.
Mi sfilo il casco lento e prudente, ben sapendo che non potrò rimediare l’eventuale errore.
Respiro! Il naso mi trasmette odori forti, pungenti e stranieri, mentre il sole che ancora galleggia sul cielo, allunga le ombre e riscalda i pensieri.
Fino a pochi decenni addietro ci s'interrogava sul fatto se vi fossero state altre forme di vita intelligente nelle galassie più vicine. Oggi so per certo che siamo sopravvissuti noi soli, pochi, molto probabilmente gli ultimi rappresentanti della razza umana.
Mi volto verso la nostra astronave, metallica torre lucente che già inquina l'ambiente con la sua sola presenza. La distruggeremo com'è stato deciso. Mentre lo penso trasmetto il segnale: confermo che tutto procede in modo normale.
Proseguo il cammino, esaltato pioniere di una impresa imponente. Dietro a delle rocce zampilla un rumore. È una fonte. - Dunque c'è l'acqua, c'è veramente! - Non v'era stato il tempo di esserne certi, ma i dati in possesso avevano espresso buone speranze.
Ora sono quasi distante, mi volto di nuovo e osservo scendere a terra i miei primi compagni di volo. Proseguo la marcia col cuore che scoppia d'emozione, sfilandomi la spessa tuta, poiché il clima è piacevolmente tiepido.
Dopo le rocce, dietro al ruscello, trecento metri lontano, in mezzo a una valle, intravedo una laguna e con immensa sorpresa d’entrambi, un animale mi fissa. Sembra un unicorno, ma non lo è: mi esplora, poi fugge. Guardo in alto, vola un uccello simile a un grifone.
Meravigliato mi siedo e attendo i miei fortunati compagni, ringraziando il Dio buono per questa possibilità. Non la dovremo sprecare. Questo mondo è vivo, inaspettatamente, e in quanto tale lo si rispetterà ancora maggiormente. Siamo i precursori di una nuova era, di un'altra civiltà. Abbiamo imparato la lezione a memoria.
Come stabilito da Javè, entreremo in intimità con la nostra compagna. Mi piace molto quella che mi è stata assegnata alla fine del viaggio. La guardo mentre si avvicina, era proprio lei che avevo sperato d’avere in sposa ed anch'essa, sorridente, sembra acconsentire. Al mio istinto sarebbe spiaciuto vederla destinare a qualcun altro. È di razza bionda, ha lo sguardo dolce e sensuale, sono certo che potrò amarla con naturalezza, dopodiché c'inoltreremo in questo nuovo mondo, in questa casa che si presenta tanto generosa e accogliente, quanto, probabilmente, anche pericolosa.
- Chissà se da qualche parte, esiste un'altra forma di vita somigliante alla nostra ? - è un grido che mi esce spontaneo e che risuona in questo nuovo mondo.
Quando saremo pronti per farlo, ci divideremo dagli altri e ciascuna coppia imboccherà nuove, misteriose direzioni. Ci separeremo andando in cerca d’un territorio favorevole dove ripristinare le nostre razze secondo umile sapienza e con uno spirito migliore, sempre che codesto mondo ancora ignoto tolleri la nostra presenza e non ci annienti tutti con misteriose forme di pericolo: ciclopi, titani o altre minacciose eventualità.
Più ci allontaneremo gli uni dagli altri e maggiori saranno le possibilità che qualche gruppo s'imbatta in un luogo accogliente e lì sopravviva. Così abbiamo già deciso da tempo.
Andremo e ci moltiplicheremo, come proferì quel burlone elettronico di Javè, abbandonando ogni oggetto e ogni reminiscenza di tecnologia, con l'unica legge, giurata e non scritta, di non offendere l'ambiente naturale, ma viverci in simbiosi, lottando se si dovrà lottare, ma con giudizio, dapprima apprendendo e poi, assecondando gl'intelligenti ritmi di vita del regno animale; senza orari pressanti, regole scritte, comandanti, uffici, denari e motori puzzolenti. Istintivamente liberi.
Andremo e ci moltiplicheremo, pacificamente, rispettando la nostra stirpe, senza mai più rubare, ferire, umiliare, ammazzare, senza più generali né sudditanze, senza stupide guerre, poiché abbiamo capito d'essere tutti fratelli, figli di un immenso disegno grande quanto l'universo, seppure differenti per razza e colore.
Tramanderemo la storia dell'apocalisse ai nostri figli, crescendoli amorevoli, buoni, semplici e generosi, e altrettanto loro faranno, così che mai più vi sia morte e violenza per questa nuova natura, né smog e sviluppo tecnologico né economia di mercato. Mai più l'ipnotismo delle masse, né il male "potere e ricchezza": futili e inutili oggetti di culto, fugaci proprietà di terre, denari e monili. Mai più un mastodontico inganno per mascherare qualche altra tremenda, disastrosa verità.
Seduto sul sasso mi lascio cullare dai mille pensieri e mentre sento lontane arrivare le voci gioiose ed eccitate dei miei compagni, seguo con l'occhio il volo dell'uccello che disegna cerchi nel cielo. Sembra giocare a schivare le prime, limpidissime stelle.
È quasi l'imbrunire ormai. Il rosa sta lasciando il posto al blu che sale da oriente, il tramonto assomiglia ai più belli che vidi sul nostro vecchio, oltraggiato pianeta. Alzo gli occhi e lo cerco con lo sguardo. Secondo quanto mi è stato dato sapere consultando le carte cosmiche, da questa posizione e adesso, si dovrebbe scovare appena sotto le stelle che corrispondono alle estremità dell'Orsa Maggiore.
Forse è suggestione, ma mi pare di scorgerlo, minuscolo, secco, disabitato: un granello di sabbia disperso nell'infinito.
- Povero vecchio pianeta ormai arido e di colore rossastro, povero il nostro antico mondo: Marte, perduto Paradiso, origine della vita di noi marziani presuntuosi e stolti! Così piccolo e così lontano pare non essere esistito mai. Perdonaci Marte ed ogni tua forma di vita distrutta da noi! - Sussurro dedicandogli il mio cuore gonfio d'amarezza.
- Non farà mai la sua stessa fine questo nuovo astro accogliente, la nostra nuova patria, questo pianeta, come lui un tempo, azzurro e vivente: la Terra! Noi non lo permetteremo! Lo rispetteremo, non lo inquineremo mai… –
Eccitato lo giuro alla mia bellissima compagna. Eva è il suo nome, mi ha raggiunto, è accanto, si spoglia anch'essa dell'ingombrante tuta lasciandomi intravedere la sagoma di un promettente, florido frutto. La stringo a me per la prima volta, sento il suo respiro che si gonfia d'emozione e di speranza, mentre ripeto all'erba, ai monti e al cielo trasparente:
– Noi non lo permetteremo mai! Parola di Adamo! Mai sarà smog sul pianeta Terra, mai saranno guerre, mai più un terribile inganno! -.
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