mercoledì 6 febbraio 2008

Cose ridicole dell’handicap


Non ci sarebbe niente da ridere invece si ride lo stesso. Bloccati su una carrozzina che si pilota a malapena rende schiavi di certe cose tragicomiche che val la pena raccontare. Qualche anno fa, nel bel mezzo di una casuale concomitanza della festa degli alpini, in un locale di montagna un bambino prese a spingermi la carrozzina andando a spasso verso una scala ripidissima. Gli dissi: Guarda qui! per farlo avvicinare col viso e poi col gomito lo misi a ko. Non avevo scelta, o me o lui. Il babbo si arrabbiò ma non mi alzò le mani. Qualche anno dopo caddi di lato e rimasi per circa un’ora con la testa contro il termosifone che per fortuna era solo tiepido. Mi tenevo spingendo col collo, per non cadere del tutto. Mi trovarono che ridevo a crepapelle mentre piangevo disperato. Un’altra volta, quando, viaggiando da solo in una stradina poco frequentata, per colpa di una buca sono scivolato di lato dalla carrozzina elettrica senza darle il giro e restando con il sedere per aria, ma ancora quasi al suo posto, e la testa a 10 cm. da terra. Da un’auto che passava un signore mi ha chiesto che cosa c’era di tanto interessante da guardare lì. Per fortuna mi diede una mano. Tante sono state le situazioni buffe, dirle tutte richiederebbe spazio, ma mi piacerebbe che ognuno me ne segnalasse una sua, perché non fare un piccolo raccontino di quanto possa essere ridicolo un sano handicap DOCG?
Scrivo questo perché ieri è stata gotica. Vivo in una casa nuova totalmente a norma: ascensore ampio e agibile, tasti raggiungibili con la testa, ogni volta che si ferma suona come fossimo a una stazione ferroviaria, specchio per guardarmi quanto sono brutto, una vera sciccheria.
Vivo nell’attico da cui si gode di ottima ottica sui tramonti dietro le Alpi e si vedono i 5.000 campanili di chiese che ormai sono sempre più vuote, ma l’ascensore mi è vitale.
L’amministratore non ha pagato parecchie mensilità all’ENEL, il furbacchione, ma questo lo sapeva solo lui. Il servizio pubblico ha tagliato la potenza in modo che l’ascensore potesse funzionare a patto che nessun condomino accendesse la luce delle scale. Perfida trovata per avere la coscienza a posto. I soccorsi hanno impiegato oltre un’ora ad arrivare. Per mettere fretta ho dovuto raccontare la balla che mio fratello era un avvocato civilista più bastardo di Gengis Kan.
No, non ho nessun fratello io…
Per fortuna che hanno inventato altri metodi per spostarsi in verticale.
Niente di buffo voi?

venerdì 1 febbraio 2008

A proposito di emergenze disabili: il fattore popò


L’ emergenza N. 1 d’un organismo non autosufficiente è il poter soddisfare i bisogni che ogni corpo pretende la mattina, poi serve l’aiuto per essere vestiti, calati in carrozza, pettinati e profumati. A quel punto si è pronti, quasi belli. L’assistenza basilare che consente di presentarsi agli occhi spesso titubanti della gente “normale” calzando un aspetto decoroso, però, scarseggia.
Quando valuto il teatrino di governanti e amministrativi che negoziano il futuro dei disabili in cerca di consensi, sorrido tristemente. Noi diretti interessati abbiamo poca voce, pur essendo i più esperti in materia.
Ci serve poco e viene offerto altro. Manca un vero ponte struttura – casa organizzato secondo priorità che non trasformi in ostaggio la famiglia.
La prima è quella di un’assistenza domiciliare che non abbia fretta. Noi piccoli ragni a rotelle ci chiediamo perché manca sempre l’infermiera che possa venire a casa, ma di impiegati e inutili coordinatori di un sistema che non funziona, ce ne sono sempre tanti.
Sulla carta nascono progetti rincuoranti, ventagli di nuove assistenze, è il welfare che vuol dire help e tante volte niente, forme di sostegni macchinosi o dispersi in organigrammi decisionali, ma scarsi di personale veramente operativo. Poi le lodevoli iniziative: gli ascensori, le piscine, i trasporti attrezzati, ma quello che manca prima d’ogni cosa è una mano fisica; ausilio vitale che si sostituisce ai gesti e alle funzionalità perdute.
Noi, col tempo s’invecchia, ci si attrezza o si muore, s’inventa quello che non c’è, si affida il proprio corpo a strana gente, a volti stranieri, a cooperative, alle infermiere in pensione, si sopravvive grazie al volontariato che fa tutto o quasi ciò che è programmato, ma in realtà, quasi inesistente.
È una lotta avvilente che si combatte giornalmente cercando d’essere il più possibile anime indipendenti. La famiglia si consuma, fa paura il futuro, qualcuno cerca d’organizzarsi da solo. Chi non sa potrà pensare si tratti del guaito d’un invalido irritato col mondo, infelice e scontento. Non è così, chi mi conosce mi definisce sereno, brillante, son pure laureato. Sono disperato. Emergenza, aiuto!
Sabato, entro la mattina dovrò fare popò, ma l’emergenza per il disabile non è prevista. Sabato sarò solo in famiglia… una mia assistente è malata, un’altra non è autorizzata a farlo da chi stabilisce limiti senza conoscenze, la mia amica del volontariato ha un impegno…
S.O.S! dal comparto Socio-assistenziale verrà qualcuno? Credo di no.
In vent’anni sono state tante le crisi “abluzioni & dignitosa evacuazione”, è il fattore… Popò, è la “nostra” minima emergenza; fragili esseri di questo nord ovest civile e laborioso, ricco e accogliente, generoso, ma distratto. Troppe volte la disabilità è intesa come martirio da alleviare, se ne parla a voce bassa, senza voler sapere. Troppe volte il disabile deve rimontare la china faticando nel ricavarsi un ruolo per le proprie capacità residue. Si discute troppo d’assistenza, poco di appartenenza. Tutte le mattine il non autosufficiente apre gli occhi in cerca della mano che si sostituirà alla sua, quella che gli manca per poter tentare almeno di essere se stesso. È questa la prima, vera emergenza!
È difficile capire la drammaticità e l’assurdità del faticare a trovare la figura idonea nell’aiutare ad espletare il fattore Popò per chi non ha il problema. È questione di vita o di morte. Senza ironia, a volte è cosa seria anche per chi cammina.
Quando vado in Francia non v’è rogna. Le associazioni sono convenzionate, le infermiere preparate e disponibili, nel mio caso girano le spese al nostro sistema sanitario, sono pure a buon mercato. Lì si stupiscono dei miei disagi e tante complicanze. Se funziona oltre le Alpi, vuol dire che decorosa e civile soluzione al fattore Popò esiste, ma sabato… mi verrà scomodo farcela ad oltrepassare la frontiera.
È ora di cambiare le carte in tavola… la popò non aspetta. Altro che referendum su leggi elettorali!! È ora di intraprendere iniziative di merda sì, ma quella seria! Stilare una carta del disabile… anche soltanto “igienica”
Spero di sopravvivere e riuscire a “farla”, ma qualcosa deve cambiare, per me, per tutti gli altri invalidi, per i familiari e per il concetto di “società civile” (se ne parla molto in aria d’elezioni, ma di preciso… cosa vuol dire?)
Ho una proposta nel cassetto: sono un illuso. Al governo che verrà, tra tante emergenze sociali costose: dal recupero drogati alla casa per tutti i nuovi arrivati, segnalo il fattore popò. Manca, sogna un’infermiera, non chiede grossi investimenti, ma renderebbe più leggera la vita a della brava gente. Più leggera in tutti i sensi a me. E a voi?