L’ emergenza N. 1 d’un organismo non autosufficiente è il poter soddisfare i bisogni che ogni corpo pretende la mattina, poi serve l’aiuto per essere vestiti, calati in carrozza, pettinati e profumati. A quel punto si è pronti, quasi belli. L’assistenza basilare che consente di presentarsi agli occhi spesso titubanti della gente “normale” calzando un aspetto decoroso, però, scarseggia.
Quando valuto il teatrino di governanti e amministrativi che negoziano il futuro dei disabili in cerca di consensi, sorrido tristemente. Noi diretti interessati abbiamo poca voce, pur essendo i più esperti in materia.
Ci serve poco e viene offerto altro. Manca un vero ponte struttura – casa organizzato secondo priorità che non trasformi in ostaggio la famiglia.
La prima è quella di un’assistenza domiciliare che non abbia fretta. Noi piccoli ragni a rotelle ci chiediamo perché manca sempre l’infermiera che possa venire a casa, ma di impiegati e inutili coordinatori di un sistema che non funziona, ce ne sono sempre tanti.
Sulla carta nascono progetti rincuoranti, ventagli di nuove assistenze, è il welfare che vuol dire help e tante volte niente, forme di sostegni macchinosi o dispersi in organigrammi decisionali, ma scarsi di personale veramente operativo. Poi le lodevoli iniziative: gli ascensori, le piscine, i trasporti attrezzati, ma quello che manca prima d’ogni cosa è una mano fisica; ausilio vitale che si sostituisce ai gesti e alle funzionalità perdute.
Noi, col tempo s’invecchia, ci si attrezza o si muore, s’inventa quello che non c’è, si affida il proprio corpo a strana gente, a volti stranieri, a cooperative, alle infermiere in pensione, si sopravvive grazie al volontariato che fa tutto o quasi ciò che è programmato, ma in realtà, quasi inesistente.
È una lotta avvilente che si combatte giornalmente cercando d’essere il più possibile anime indipendenti. La famiglia si consuma, fa paura il futuro, qualcuno cerca d’organizzarsi da solo. Chi non sa potrà pensare si tratti del guaito d’un invalido irritato col mondo, infelice e scontento. Non è così, chi mi conosce mi definisce sereno, brillante, son pure laureato. Sono disperato. Emergenza, aiuto!
Sabato, entro la mattina dovrò fare popò, ma l’emergenza per il disabile non è prevista. Sabato sarò solo in famiglia… una mia assistente è malata, un’altra non è autorizzata a farlo da chi stabilisce limiti senza conoscenze, la mia amica del volontariato ha un impegno…
S.O.S! dal comparto Socio-assistenziale verrà qualcuno? Credo di no.
In vent’anni sono state tante le crisi “abluzioni & dignitosa evacuazione”, è il fattore… Popò, è la “nostra” minima emergenza; fragili esseri di questo nord ovest civile e laborioso, ricco e accogliente, generoso, ma distratto. Troppe volte la disabilità è intesa come martirio da alleviare, se ne parla a voce bassa, senza voler sapere. Troppe volte il disabile deve rimontare la china faticando nel ricavarsi un ruolo per le proprie capacità residue. Si discute troppo d’assistenza, poco di appartenenza. Tutte le mattine il non autosufficiente apre gli occhi in cerca della mano che si sostituirà alla sua, quella che gli manca per poter tentare almeno di essere se stesso. È questa la prima, vera emergenza!
È difficile capire la drammaticità e l’assurdità del faticare a trovare la figura idonea nell’aiutare ad espletare il fattore Popò per chi non ha il problema. È questione di vita o di morte. Senza ironia, a volte è cosa seria anche per chi cammina.
Quando vado in Francia non v’è rogna. Le associazioni sono convenzionate, le infermiere preparate e disponibili, nel mio caso girano le spese al nostro sistema sanitario, sono pure a buon mercato. Lì si stupiscono dei miei disagi e tante complicanze. Se funziona oltre le Alpi, vuol dire che decorosa e civile soluzione al fattore Popò esiste, ma sabato… mi verrà scomodo farcela ad oltrepassare la frontiera.
È ora di cambiare le carte in tavola… la popò non aspetta. Altro che referendum su leggi elettorali!! È ora di intraprendere iniziative di merda sì, ma quella seria! Stilare una carta del disabile… anche soltanto “igienica”
Spero di sopravvivere e riuscire a “farla”, ma qualcosa deve cambiare, per me, per tutti gli altri invalidi, per i familiari e per il concetto di “società civile” (se ne parla molto in aria d’elezioni, ma di preciso… cosa vuol dire?)
Ho una proposta nel cassetto: sono un illuso. Al governo che verrà, tra tante emergenze sociali costose: dal recupero drogati alla casa per tutti i nuovi arrivati, segnalo il fattore popò. Manca, sogna un’infermiera, non chiede grossi investimenti, ma renderebbe più leggera la vita a della brava gente. Più leggera in tutti i sensi a me. E a voi?
Quando valuto il teatrino di governanti e amministrativi che negoziano il futuro dei disabili in cerca di consensi, sorrido tristemente. Noi diretti interessati abbiamo poca voce, pur essendo i più esperti in materia.
Ci serve poco e viene offerto altro. Manca un vero ponte struttura – casa organizzato secondo priorità che non trasformi in ostaggio la famiglia.
La prima è quella di un’assistenza domiciliare che non abbia fretta. Noi piccoli ragni a rotelle ci chiediamo perché manca sempre l’infermiera che possa venire a casa, ma di impiegati e inutili coordinatori di un sistema che non funziona, ce ne sono sempre tanti.
Sulla carta nascono progetti rincuoranti, ventagli di nuove assistenze, è il welfare che vuol dire help e tante volte niente, forme di sostegni macchinosi o dispersi in organigrammi decisionali, ma scarsi di personale veramente operativo. Poi le lodevoli iniziative: gli ascensori, le piscine, i trasporti attrezzati, ma quello che manca prima d’ogni cosa è una mano fisica; ausilio vitale che si sostituisce ai gesti e alle funzionalità perdute.
Noi, col tempo s’invecchia, ci si attrezza o si muore, s’inventa quello che non c’è, si affida il proprio corpo a strana gente, a volti stranieri, a cooperative, alle infermiere in pensione, si sopravvive grazie al volontariato che fa tutto o quasi ciò che è programmato, ma in realtà, quasi inesistente.
È una lotta avvilente che si combatte giornalmente cercando d’essere il più possibile anime indipendenti. La famiglia si consuma, fa paura il futuro, qualcuno cerca d’organizzarsi da solo. Chi non sa potrà pensare si tratti del guaito d’un invalido irritato col mondo, infelice e scontento. Non è così, chi mi conosce mi definisce sereno, brillante, son pure laureato. Sono disperato. Emergenza, aiuto!
Sabato, entro la mattina dovrò fare popò, ma l’emergenza per il disabile non è prevista. Sabato sarò solo in famiglia… una mia assistente è malata, un’altra non è autorizzata a farlo da chi stabilisce limiti senza conoscenze, la mia amica del volontariato ha un impegno…
S.O.S! dal comparto Socio-assistenziale verrà qualcuno? Credo di no.
In vent’anni sono state tante le crisi “abluzioni & dignitosa evacuazione”, è il fattore… Popò, è la “nostra” minima emergenza; fragili esseri di questo nord ovest civile e laborioso, ricco e accogliente, generoso, ma distratto. Troppe volte la disabilità è intesa come martirio da alleviare, se ne parla a voce bassa, senza voler sapere. Troppe volte il disabile deve rimontare la china faticando nel ricavarsi un ruolo per le proprie capacità residue. Si discute troppo d’assistenza, poco di appartenenza. Tutte le mattine il non autosufficiente apre gli occhi in cerca della mano che si sostituirà alla sua, quella che gli manca per poter tentare almeno di essere se stesso. È questa la prima, vera emergenza!
È difficile capire la drammaticità e l’assurdità del faticare a trovare la figura idonea nell’aiutare ad espletare il fattore Popò per chi non ha il problema. È questione di vita o di morte. Senza ironia, a volte è cosa seria anche per chi cammina.
Quando vado in Francia non v’è rogna. Le associazioni sono convenzionate, le infermiere preparate e disponibili, nel mio caso girano le spese al nostro sistema sanitario, sono pure a buon mercato. Lì si stupiscono dei miei disagi e tante complicanze. Se funziona oltre le Alpi, vuol dire che decorosa e civile soluzione al fattore Popò esiste, ma sabato… mi verrà scomodo farcela ad oltrepassare la frontiera.
È ora di cambiare le carte in tavola… la popò non aspetta. Altro che referendum su leggi elettorali!! È ora di intraprendere iniziative di merda sì, ma quella seria! Stilare una carta del disabile… anche soltanto “igienica”
Spero di sopravvivere e riuscire a “farla”, ma qualcosa deve cambiare, per me, per tutti gli altri invalidi, per i familiari e per il concetto di “società civile” (se ne parla molto in aria d’elezioni, ma di preciso… cosa vuol dire?)
Ho una proposta nel cassetto: sono un illuso. Al governo che verrà, tra tante emergenze sociali costose: dal recupero drogati alla casa per tutti i nuovi arrivati, segnalo il fattore popò. Manca, sogna un’infermiera, non chiede grossi investimenti, ma renderebbe più leggera la vita a della brava gente. Più leggera in tutti i sensi a me. E a voi?
2 commenti:
Caro Carlo:
Eccomi qui con un calido saluto. Sto cercando il tuo indirizzo civico secondo le tue indicazioni.., spero di trovarlo.
Un abbraccio
Jaime
Ciao caro Carlo
figurati cosa ne sarebbe di te nel nostro terzo mondo...!
Un abbraccio a tutti e due
Ezio e Teresa, dall'Argentina
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