mercoledì 24 settembre 2008

L'ITALIA CHE FU LAVORO




PER COLPA DI UN GIUBBOTTO

Qualche tempo fa ho comperato un auricolare per il mio cellulare. Si è rotto in fretta; non sapevo che era fabbricato in Cina. Qualche tempo fa ho acquistato un piccolo impianto HI FI di nota marca europea. Si è rotto. Ho scoperto che era fabbricato in Cina.
Ho letto Il Milione da piccolo e per me, a quei tempi la Cina era un misterioso paese lontano, poi sono cresciuto e a scuola girava un libretto rosso. La Cina era diventata vicina, ma quel comunismo non mi affascinava affatto. Oggi la Cina è dappertutto ed è una colpa, nostra, vostra, mia.
Mi piace comperare italiano, ho una macchina italiana, avevo una moto italiana, vestivo italiano ed ero sicuro che fosse tutto nostrano: soltanto vent’anni fa. Ero soddisfatto di poter contribuire al lavoro del popolo italiano, forse ero comunista senza sapere di esserlo.
Oggi cerco disperatamente di continuare a far lavorare un operaio nazionale, Dio sa quanto ne ha bisogno. Non vado al mercato per comprare un giubbotto, potrebbe essere cinese. Aspetto il sabato pomeriggio, mi infilo nella mia fedele macchina per lo più italiana e vado in quel grande magazzino che fa tanta pubblicità da anni, un magazzino piemontese, un magazzino italiano. E’ quasi una missione per me, ex designer torinese che, negli anni ottanta, lavorava per tante piccole e medie aziende di pregio che non ci sono più.
Sabato ho comperato due giubbotti, davvero niente male. Sono vanitoso lo ammetto, si vede nella foto. Tornato a casa li ho indossati, mi sono guardato allo specchio e poi, convinto dell’acquisto e del corretto agire, con ingenuità, ho controllato. Fabbricato in Cina, così c’era scritto in inglese. Mi sono sentito stupido.
Non sono un economista, ma sono attento, istruito, forse motivato da ideali e insegnamenti che oggi paiono vecchi, superati. Sono un architetto nato nel ’54, ho due figlie piene di voglia di fare, ma quante poche opportunità in questa penisola trattata male, sempre di più e soltanto in mezzo al mare.
State sbagliando ingordi imprenditori, state svendendo un paese, distruggendo un patrimonio lavorativo e culturale fatto di abilità, cultura, buon gusto, creatività e storia che ha fatto dell’Italia un paese del quale andare quasi fieri.
Avevamo l’Olivetti che fu un esempio di lungimiranza imprenditoriale a cui guardare per far di un esempio un modello di crescita civile e imprenditoriale, avevamo il monopolio degli elettrodomestici, si creavano tessuti di pregio ricercati in tutto il mondo, l’industria del mobile, il design, tante aziende medie che sono andate perse nel gorgo della globalizzazione. Fino ad oggi, oggi che perdiamo una compagnia di bandiera e io scopro di indossare un giubbotto prodotto dall’azienda di un lontano Mandarino italiano.
State sbagliando ingordi imprenditori, ciechi sindacalisti, nervosi uomini politici, succubi italiani.
Stiamo sbagliando tutti, lo sappiamo, lo facciamo per nostra lesta convenienza. Patiremo presto e questa nazione laboriosa, lasciataci in prestito dai nostri figli e in eredità dai nostri genitori si trasformerà in un luogo nervoso, pericoloso e senza identità. Sempre meno patria di sorrisi.
Non ci vuol molto a indovinare il futuro triste. Ormai siamo svenduti, disperati, dispersi. Le nostre aziende sono brasiliane, indiane, russe, arabe e soprattutto, saranno cinesi. Che sarà di noi? Di queste e tante altre cose…
Carlo Mariano Sartoris
http://www.handyscap.it/