lunedì 3 marzo 2008

REINSERIMENTO DEL DISABILE - BY CARLO M. SARTORIS & CENTRO STUDI GUTTMANN

Progetto per un corretto approccio
alle priorità vitali del disabile motorio
non autosufficiente



L'handicap è un concetto dinamico che deriva dall'interazione tra la capacità individuale e le condizioni circostanti nelle quali si devono manifestare queste capacità. La comunità e la sua organizzazione sociale sono, di conseguenza responsabili della promozione di condizioni più favoremmvoli per il pieno sviluppo delle persone evitando o eliminando le cause che lo impediscono (Dichiarazione di Barcellona - 1995)

Premesse

S’intendono come priorità vitali dell’individuo non autosufficiente quel ventaglio di azioni minime che il soggetto non è in grado di eseguire in modo autonomo e senza le quali il soggetto muore in breve tempo.
Si tratta di interventi di sostegno alla persona previsti per legge e per altra legge negati. Rappresentano lo stadio primitivo del concetto di civiltà applicata alla vita assistita, ma anche il progetto più disatteso, origine del maggiore stato di bisogno dell’entità vivente e pensante, nonché del nucleo più prossimo.
Le azioni elementari di sostegno a sostituzione delle funzioni perdute sono le più difficili da ottenere e la maggiore causa di disagio del soggetto vivente in modo non autosufficiente.
Sono poche, semplici e comuni. Si tratta: 1 - di poter bere e mangiare, 2 - espletare le ricorrenti funzioni organiche, essere aiutati nella pulizia del corpo. Nel caso delle prime due azioni manuali, l’aiuto diretto di terzi non richiede molto tempo né particolare specializzazione. Nel secondo caso, l’operazione impone un tempo variabile, non comprimibile in orari brevi e prefissati e gestito da personale più qualificato, preferibilmente estraneo al nucleo familiare.
È questa la priorità di cui si tratterà, partendo da uno scenario più ampio.

La dimissione del disabile e il rientro tra le mura domestiche

Esistono varie tipologie di disabilità che portano il soggetto ad essere non autosufficiente nelle abilità vitali, alcune sopraggiungono lentamente, altre in seguito a trauma. Le problematiche fisiche, in entrambi i casi sono molto simili.
Nei casi di paralisi post traumatica, dopo il superamento della fase acuta ed un periodo di riabilitazione che può durare anche più di un anno, il disabile viene dimesso dalla struttura che, fino a quel periodo, ne aveva garantito le priorità vitali. Sovente viene affidato alla famiglia, solo in parte addestrata a ricevere un essere vivente che già in una struttura specializzata richiede tempo e cure specifiche e competenti.
Il trasferimento ospedale – casa è quasi sempre gestito in modo falsato da parametri di competenza professorale e cattedratica, nella più parte dei casi risulta silenziosamente inefficace, creando un’emergenza destabilizzante: sia nel disabile, sia nel nucleo domestico. Il nucleo familiare, pur se preparato in modo accademico, emotivamente e tecnicamente è quasi sempre impreparato a riaccogliere il disabile non autosufficiente, entrambi orfani dell’organizzazione ospedaliera, della formazione mentale necessaria e dell’aiuto specialistico nell’affrontare le priorità vitali.
Le cause della destabilizzazione sono molteplici, spesso sfuggono alla programmazione settoriale del rientro e insorgono in breve tempo con l’esperienza diretta.

La destabilizzazione del nucleo familiare

Da un punto di vista emotivo, il ritorno a casa di un familiare gravemente compromesso genera tre categorie di percezioni;
1 – il sollievo di poter abbracciare chi è scampato alla morte.
2 – la pena di dover convivere con la sofferenza della persona cara.
3 – una somma di ansie primitive da inadeguatezza pratica e psicofisica.
Nei casi di rapporto genitori-figli spesso si sviluppa un senso di devozione - dovere che impone al familiare più prossimo di dedicarsi alle priorità vitali del figlio, proteggendone l’immagine sofferente estromettendo terzi e isolando la persona.
In altri vi è timore dell’ignoto, la paura di un futuro stravolto e il rifiuto del sacrificio che trasforma il disabile in un soggetto malaccetto. Sono molto diffusi i casi di separazione o di abbandono. Non tutti sarebbero inevitabili, previo un diverso approccio alle priorità vitali.
I vari stati d’animo privi di un solido ponte ospedale – domicilio, spesso s’intrecciano, rendendo il disabile ostaggio del nucleo, a sua volta schiavo del soggetto.
In mancanza d’aiuto esterno alcuni membri familiari sono costretti a ridurre gli impegni, abbandonare il lavoro o il ruolo nel collettivo con smarrimento della identità acquisita.
Col tempo saltano i ruoli e sovente il nucleo si disgrega, il genitore si logora, il disabile non si riappropria del suo potenziale residuo e un ruolo nel collettivo, molte volte realizzabile, e invecchia in una realtà miserevole, timorosa e priva delle minime certezze.


Il ruolo del disabile nel sociale e le sue capacità residue.

In altre nazioni europee, il disabile non autosufficiente non è lasciato all’azione primaria delle sole mani della famiglia, ma continua ad essere seguito a domicilio nelle sue necessità vitali. Questo, gli consente di svincolarsi dai vincoli più oppressivi e progettarsi più agevolmente una vita indipendente nei casi in cui, le capacità rimanenti glielo consentano.
Soprattutto nei soggetti più giovani, pur in caso di menomazioni importanti e permanenti, non viene preclusa a priori la possibilità di ricostruirsi uno spazio ed un tempo affettivo, lavorativo e quant’altro di più “normale possibile” gli consenta il reinserimento in una società civile aperta ai valori e al concetto di appartenenza.
Se la complessità della disabilità non consente indipendenza e reinserimento, il minimo vitale nell’apporto esterno domiciliare consente comunque una vita più decorosa al soggetto e più libertà al nucleo familiare che non perde la propria individualità, né l’appartenenza al collettivo


Impedimenti incongruo - pratici al sostegno domiciliare
del disabile non autosufficiente e percorsi logici


l’apporto dell’apparato sociosanitaro nei confronti delle priorità predominanti e vitali del disabile non autosufficiente è generalmente limitato.
Le cause risiedono in un’organizzazione del welfare che pare non rendersi conto dell’importanza prima e basilare del problema qui trattato.
I tavoli di lavoro che si tengono regolarmente per individuare le azioni di contributo per una vita più decorosa rivolta alle fasce più bisognose, producono moltissime iniziative, ma inspiegabilmente non prevedono un intervento assistenziale destinato all’aiuto dell’espletamento delle funzioni organiche vitali.
Manca il personale adatto, poiché, classificato come intervento invasivo, perciò, in teoria destinato a essere praticato da organico infermieristico professionale, sempre scarso di numero e destinato ad altre mansioni.
Trattasi invece di un intervento comune, risolvibile dignitosamente da un punto di vista operativo.
Così come il soggetto viene spesso accudito da terzi a pagamento, soggetti precari improvvisati, non specializzati e addestrati spesso da lui stesso o dai parenti, nello stesso modo, la logica vuole che può essere formata una figura paramedica intermedia delegata a quei determinati interventi ripetitivi senza che sia in possesso di tutte le nozioni di una laurea. (OSS ++)
Il disabile stesso o il suo entourage saranno ben lieti di farsi carico d’ogni responsabilità e insegnamento, sanno che, con un po’ di pratica, non vi sono rischi, né nel momento dell’evacuazione, né nel praticare correttamente un cateterismo a intermittenza.
Si tratta dunque di una questione di un modesto aumento di organico, istruito e indirizzato alla priorità, e di volontà nel volerlo autorizzare ad un lavoro semplice, quanto vitale.
Questa proposta vuole rivelarsi, nel proseguo della relazione, come una scelta in grado di creare un servizio molto sentito e far risparmiare l’apparato pubblico

Il ruolo delle associazioni infermieristiche private. Sinergia con il servizio pubblico

In altri paesi europei (es. Francia), la mancanza di personale pubblico in grado di rendere un servizio domiciliare che appaghi il bisogno primario e vitale del disabile non autosufficiente è gestita da accordi con associazioni private convenzionate con il S. pubblico. È una soluzione efficace che permette al disabile di poter anche contare su una struttura di più elementi e non su una sola persona, familiare o assunta, sulla quale a volte non si può contare per banali motivi di salute, impegni o vacanza. Momenti difficili che creano molto disagio nel concetto stesso di sopravvivenza del soggetto. Il corpo fisico non va in vacanza.

Il ruolo delle associazioni di volontariato

L’esperienza maturata in diverse aree della regione Piemonte ha evidenziato un complesso di numerose associazioni di volontariato che si fanno carico di molti interventi assistenziali promessi, ma disattesi dal welfare. Nella maggior parte dei casi, ciascuna è indirizzata all’intervento su infermità differenziate da un punto di vista patologico, ma spesso simili nelle tipologie d’invalidità. Una gestione unificata, meno disgiunta e più sinergica di tali risorse umane ed economiche potrebbe contribuire a un intervento molto più significativo nel garantire un efficace supporto a svariati casi di non autosufficienza. Resta evidente il fatto che il volontariato dovrebbe essere un supporto e non un intervento sostitutivo al compito del servizio sanitario che sovente rimette alle associazioni un certo novero di mansioni a lui spettanti...

PROSEGUE IN UN PROGETTO DI 40 PAG.
SVILUPPATO IN COLLABORAZIONE
CON:
CENTRO STUDI GUTTMANN - TORINO
PIANETABILE - MILANO
UNIVERSITARI di FISIOTERAPIA - TO

1 commento:

Unknown ha detto...

ciao carlo, sono arianna, vedo con piacere che la mia tesi ha aiutato a fare un po il riassunto di tutte le idee saltate fuori in anni di tue, nostre, vostre riflessioni. A presto, Arianna