giovedì 6 marzo 2008

DUE RUOTE, UNA SOLA VITA


DUE RUOTE E UNA VITA SOLTANTO

Iniziai nel 1970 con un Benelli 125 che faceva i centodieci, se ci penso mi sembra impossibile: ci si divertiva lo stesso... senza tuta, senza casco. Le macchine erano poche, il rischio più… umanamente gestibile.
SO COSA SI PROVA
Correre è una cosa bellissima, affrontare quella doppia curva veloce appesi solamente alle proprie capacità e all'ultimo barlume di buonsenso. Aggredire la curva e piegare, piegare la moto tenendola lì, in quel limbo sottile che separa l'equilibrio dalla rovinosa caduta è bellissimo. È bellissimo e lo è sempre stato, anche vent'anni fa quando le gomme erano più strette e i motori meno devastanti. Si andava forte lo stesso. Troppo forte, eppure quasi si poteva ancora, codice della strada a parte. Oggi non più.
Non si può più spalancare il gas, infilarsi nella curva e piegare fin quando la gomma dice "basta". È ora di capirlo, di smetterla, di modificare atteggiamento. È colpa dei tempi, tutto è di più, le auto più numerose, le moto più potenti, le gomme più sicure, ma la vita resta una e tutti questi più la fanno diventare sempre di meno.
Il mito di Valentino si trasferisce tra strette curve circondate dalla criminale ghigliottina del guard-rail che spezza colli arti e schiene di chi cade e rimane a terra per sempre.
Le auto troppe sbucano, lente, pericolose, numerose, distratte, ma di fronte alla potenza, quasi incolpevoli. Noi si partiva quasi certi di tornare, era trent'anni fa. Oggi si contano troppe vite spezzate, si parte sperando di tornare. Non ha senso, non più, di vita ce n'è una sola e a volte quasi si fatica a viverla bene tutta anche facendo poco o niente. Di vita ce n'è una sola ed è bellissima. È quella cosa che l'incidente mi spezzò vent'anni fa. Quando già erano altri tempi, tempi veloci.
INCIDENTE - 1986
Paralizzato da vent'anni non ce la faccio più. Vengono da me i parenti di ragazzi destinati a vivere in modo piccolo e doloroso, ma un istante prima erano sani e belli. Fatelo per me, non ne posso più di parlare con mogli e madri dagli occhi attoniti. Chiudete il gas ragazzi, non avete niente da dimostrare a nessuno, non più in una curva che può essere una piacevole culla o un'esigente, terminale prova per una vita destinata ad altro.
Eppure è uno sport che richiede un certo talento. Forse è ora di costruire qualche pista in più. E' un affare economico. E' una palestra sicura, è spettacolo, è l'equivalente di dieci campi di calcio, è un'assicurazione sulla vita per ragazzi che comunque, la motocicletta la sentono correre dentro.

3 commenti:

dadecall ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
dadecall ha detto...

Mio padre mi raccontò che un giorno vide morire davanti ai suoi occhi il suo migliore amico. O meglio: lo vide morire dallo specchietto retrovisore della sua moto. Era il 1975. Affrontarono la curva insieme, gareggiando. Mio padre lo precedeva e il suo amico, forse per recuperare, affrontò la curva con troppa velocità, così che la moto scivolò. Mio padre osservava dallo specchietto retrovisore la scivolata, mentre, superata la curva, riportava la moto in perpendicolare per riprendere il rettilineo. L'amico rotolò su se stesso per diversi giri, fino ad invadere con la testa la corsia di marcia opposta. Nel mentre, un'auto sopraggiunse in quella corsia opposta e, pur sterzando, non riusci a non arrotare la scatola cranica dell'amico.
Mio padre disse che fu tutt'uno: distogliere gli occhi dallo specchietto, frenare, saltare giù e lasciare andare la moto oltre il ciglio della strada, al suo destino. E correre verso l'amico, morente, per tenere tra le mani il suo viso intatto e gustare gli ultimi istanti di una giovane vita.

la zoppa ha detto...

Monorotaie per tutti.